lunedì 19 gennaio 2009

Ragionamenti attorno ad un bicchiere e a delle scopate


Quel bicchiere era ancora lì, mezzo vuoto. Io ne avevo già svuotati due e mi accingevo ad ordinare il terzo. Vodka liscia, no niente ghiaccio per favore. Le risate si erano fatte più rumorose e i discorsì più volgari. Sorrido al mio amico, seduto al mio fianco: bestemmia a ruota libera, descrivendo con minuzia di particolare la sua ultima umiliante relazione. Siamo in 5 o 6, ho appena affermato di vivere le scopate come qualcosa di vuoto, di viscerale e animale, che ci toglie il desiderio ma ci toglie anche molto di più. Io rimango vuota dopo certe notti. Ma inutile spiegarlo ai miei amici, uomini, ubriachi e famelici. Biascichiamo senza alcun rispetto per i turni di conversazione, una voce sopra l'altra come al gioco di chi urla più forte. Sorrido ancora e torno a guardare quel bicchiere, mezzo vuoto, su quel tavolo. Sprigiona un'aura particolare e non perchè sia così bramosa di aggrapparlo e trangugiarne il rimanente contenuto. Ma perchè la mia testa ragiona sulla linea della Proprietà Privata: ogni cosa esistente al mondo appartiene a qualcuno. Questo pensiero permette di sopravvivere alla solitudine, alla fitta empatica che mi tortura ogni volta che vedo persone, animali, esseri viventi completamente soli al mondo. E' fondamentale pensare che ci sia qualcuno che li cerca, che li rivuole indietro, che siano importanti e utili nella loro esistenza, che siano la felicità e il sorriso e il sospiro di qualcun'altro. Penso alla Proprietà Privata chiedendomi "di chi sono io?" e la lista si allunga, si allunga, si allunga.. e mi sento sicura. Al riparo, nel mio magico recinto. Ma allora di chi è quel bicchiere? Perchè sei solo? Dov'è la mano che avida ti stringe, veloce ti svuota e gentilmente ti ripone sul tuo tavolo? Chi ti ha abbandonato? Dov'è il tuo cuore?

Torno ad ascoltare qualche urlo animale dei miei compagni di avventura.. Torneremo tardi questa notte, alcuni piangendo e altri cantando. L'alcool è così: o muori dal ridere o muori di lacrime. Li guardo pensando che un pochino appartengo anche a loro. Soffrirebbero se non ci fossi più. Appoggio la schiena allo schienale della mia sedia lercia e riporto lo sguardo sul bicchiere, mentre nervosa cerco le sigarette le sigarette le sigarette le sigarette nella mia borsa. Qui accanto continuano a parlare di scopate e di scopare e di donne scopabili. Fra poco parleranno di calcio, inevitabilmente, allora lì potrò anche io infervorarmi. Per ora penso solo alle scopate come qualcosa di sporco, che mi svuota e mi fa sentire piccola e insignificante, una merda di nessuno. E penso al bicchiere. Lo buco e lo accartoccio, talmente lo guardo forte.

Ma ogni cosa appartiene a qualcuno ed è inevitabile che il legittimo proprietario non vada a reclamare la sua legittima proprietà: eccolo il tuo cuore, eccolo il tuo padrone. Lo vedi? Adesso torni ad avere senso, adesso la tua ragion d'essere è tornata in te. Ti prende e ti scruta, come a cercare tracce di un qualche tradimento, come l'uomo che cerca i succhiotti sul collo della moglie, come la moglie che cerca il profumo, il rossetto, i capelli di un'altra donna sul corpo del marito. Con una smorfia ti annusa e poi sospettoso si guarda intorno. Qualcuno gli assicura che tu sei il SUO bicchiere e lui felice ti svuota tutto d'un fiato e poi emette un suono di soddisfazione, di godimento, di riempimento dopodichè scuote la testa velocissimo, come a dire "no" ma molto più veloce, come il cane quando si scrolla l'acqua di dosso.

Sono contenta per te, bicchiere. Hai visto? Sei suo.

E poi di colpo mi vieni in mente tu, come tuo solito, che spunti dal nulla e mi occupi la testa con una prepotenza e un'arroganza che ci sarebbe da venire lì e tirarti uno schiaffo, spa-pam!, in piena faccia. Mi vieni in mente tu perchè arrivi, stuzzichi il mio desiderio di appartenere, lo accarezzi e lo soddisfi. dopodichè sparisci, per mesi e anni. Dunque Tu sei la mia scopata morale: mi tolgo lo sfizio, mi sento qualcuno e di qualcuno, ma poi mi lasci più vuota e più sporca di prima. Come una merda di nessuno. Bestemmie e imprecazioni, poi adieu.

"Well, I don't feel better when I'm fucking around" (The Strokes)

sabato 3 gennaio 2009

Attese


Devo uscire. Fuori fa freddo, freddissimo, si spaccano le mani e le labbra. Ma devo uscire, devo farlo. Mi alzo, mi preparo, metto il cappotto la sciarpa i guanti il cappello e il cappuccio, esco. Guardo fuori. Sento parole e voci nuove. Stringo mani. Azzardo sorrisi, più che finti. Rido e faccio ridere. Quasi mi diverto, ascolto e rifletto. Mi assalgono storie che non voglio sentire, mi travolgono senza che possa scansarmi all'ultimo, i riflessi sono pochi. Quelle storie mi trafiggono, mi lacerano, mi contorcono le budella. Non voglio queste confessioni, mi pesano sulla testa. La mia mano destra è congelata, stretta intorno ad un bicchiere sempre mezzovuoto anche quando è stracolmo, la mia mano sinistra è pietrificata a stringere con due dita la stramaledetta sigaretta. Non voglio sentire il dramma della vostra vita, non voglio essere partecipe, non voglio condividere. Passeggio da un anima all'altra, felice o triste che sia, il mio cuore sobbalza ogni volta che qualcuno pronuncia quel nome, ogni volta che sento una voce che sembra quella voce, ogni volta che una vocale viene pronunciata stretta oppure un'imprecazione viene liberata. Io esco, parlo e rido, io esco e vedo gente, parlo con tutti, chi più e chi meno, ma io esco e in realtà attendo. Aspetto e attendo, attendo e aspetto. Sospiro, muovo la gamba a ritmi frenetici, faccio un passo a destra e uno a sinistra, continuo a guardarmi intorno, oltre alle teste, oltre alla fiumana di persone, oltre agli omini in bicicletta che ci vendono le rose, oltre agli ubriachi che pisciano lungo il muro cantando in portoghese, oltre le case e le strade e le luci e la neve e il freddo. Cerco sempre te, che però non arrivi mai e io ho un freddo porco e non ho più voglia nemmeno di uscire e ammazzarmi il fegato e il cervello e confessarmi con chi non merita le mie paure e tornare a casa sconfitta dall'evidenza: che tu non ci sei ed è tardissimo e papà sarà già sveglio che beve il caffè.
"se stasera sono qui è perchè so perdonare..." (Luigi Tenco)

giovedì 18 dicembre 2008

...


Non so.

Ti ho visto oggi

camminare da lontano.

non so cosa mi è preso:

il cuore!

si è fermato.

Un attimo.

E poi è ripartito,

velocissimo.



giovedì 20 novembre 2008

la qualità?


La musica nelle orecchie mi isola dal resto dell'universo. Il pullman è lentissimo oggi, chissà quanto ci metterò. Intanto penso che sarebbe bello scattare una foto da quella prospettiva. Sembrerebbe quasi professionale ma poi mi ricordo di avere una misera macchina compatta, che fa le foto tutte uguali, volti bianchi su sfondi neri, peggio di una profezia. Non vengono mai quelle foto mozzafiato che ti struggono i sensi e ti tritano la carne, sono tutte foto fatte in serie. E tolgo il flash, ma tanto non ho la mano ferma nemmeno da addormentata, figuriamoci su un pullman borbottante. Pensare che volevo fare il chirurgo. Ahimè, il destino ha parlato, ha salvato delle persone mandandomi a fare psicologia: così mette in pericolo me. Uno contro mille. Economia deterministica: il destino è tassonomico, calcolatore, preciso e non superficiale.
In uno di quei mille test di "personalità" mi viene chiesto: "credi che il destino possa essere cambiato?", io rispondo sicura: si. Questa è la classica risposta che si vuole dare, è la bugia che in quel frangente vogliamo raccontarci. Anche perchè non c'è nessuno a controllare cosa rispondi.
In realtà io non credo di poter cambiare il destino: credo che si possa indirizzare, ma certe cose ti spettano e te le tieni. Altrimenti non diremmo "tutto torna" o "la ruota gira". Noi tutti lo diciamo. Quando un'amica ci dice "quello stronzo bastardo!", mica le diciamo "Te la sei cercata bella!" (o almeno, se proprio se l'è cercata, la mettiamo in altri termini), bensì esclamiamo "HA! Vedrai che avrà quel che si merita" oppure "non ti preoccupare, avrai la tua rivincita" e non lo diciamo in senso Possibilistico ossia "se ti ci metti di impegno potrai", ma la mettiamo come affermazione. Legge. Costante. Immutabile. E' così, punto e basta.
Quindi trovo anche sia normale che io mi lamenti costantemente e spesso venga colta dallo sconforto e dall'odio per codesto Fato, che con me ultimamente si è un po' accanito.
E poi oggi su Vanity Fair leggevo di un libro, The Secret: in poche parole si basa sulla legge dell'attrazione = un individuo può comportarsi come un magnete ed attirare a sè gli oggetti dei suoi desideri. Il motto è all'incirca "pensi - credi - ottieni". Quindi noi tutti dovremmo ad esempio metterci a dormire e pensare intensamente a qualcosa che vogliamo e più ci pensiamo più lo attiriamo a noi. Ma se quell'oggetto c'ha da fare? Mi chiedo io. Io penso e credo un sacco, ma forse è l'intensità che non è al massimo. Però insomma, uno ha tanti problemi nella vita, tanti sensi di colpa, tante preoccupazioni e adesso dobbiamo pure avere questo masso sulla testa del "no.. non ci ho messo abbastanza intensità".
Trovo sia stancante basare tutto sulla quantità, sull'abbastanza, sul troppo poco, sul non il massimo. Io credo fermamente nella qualità. Un minuto totale, contro anni di noia. Un giorno da leone, contro cento da pecora. La qualità, nella vita di ogni giorno (e dobbiamo parlare di sesso?).

Questo il destino chissà se lo sa, chissà se ci pensa intensamente oppure si limita a tenerne conto, lì, nell'anticamera del cervello.
E comunque The Secret me lo leggo, perchè sto destino ha proprio rotto. Basta con "quando meno te lo aspetti..". E' una cazzata, noi aspettiamo sempre tutto perchè in fondo siamo una specie codarda divisa fra fortunati e sfigati. Tutto qui. Questione di qualità.


"Una formalità.. o questione di qualità" (CCCP)

domenica 9 novembre 2008

E' sempre meglio dormirci su.


Stava immobile, con lo sguardo fisso a chiedersi com'era potuto succedere. Cercava disperata un perchè e una risposta e un motivo e una motivazione. A posteriori. Il danno era fatto. Il cuore era a mille e la testa faticava a raccogliere quel pochino di sangue necessario per un ragionamento compiuto. Non c'era verso di uscirne, era successo. Non si poteva rimediare "indietro non si torna indietro non si torna" continuava a ripetersi. Si alzò di scatto come a dimostrare a se stessa che lei era lì, ed era padrona di sè. Una sigaretta viene spenta e un'altra subito riaccesa. In bocca un sapore orribile, le mani tremano, quella roba le scende in gola fin giù giù giù nel profondo dei polmoni e riesce fuori con una smorfia quasi di disgusto. Ma quel bastoncino velenoso è l'unica cosa che la tiene àncorata alla realtà, un filo bluastro che la tira via da quei pensieri vorticosi e soffocanti.

Quella mattina era uscita di casa di corsa, con il suo solito ritardo, uscendo dall'ascensore aveva infilato la manica del giubbotto rimasta a penzoloni e chiuso la borsa straripante di libri e cazzate varie, il tutto correndo,inciampando,salutando il vicino,chiudendo il portone come fosse il giorno più importante della sua vita. Quella frenesia era insolita e anche lei cominciava a notarlo, proprio mentre l'i-pod cominciava a suonare "Ninna nanna per nina" e lei, sempre a passo svelto, impazziva per recuperare una delle due cuffie che le ciondolava davanti annodandosi su se stessa, incrementando così la frenesia di cui sopra. Il pullman stava tardando, lei pensò che quell'ansia poteva essere dovuta al caffè troppo forte che aveva giusto trangugiato pochi minuti prima. Boh, chissà. Il pullman arriva, sale e trova posto. Si sistema, prende il telefono e scrive un sms "Sono salita adesso sul pullman, 10 minuti e sono lì." Invia. L'i-pod si è spostato su tonalità più melense, skippa 5 o 6 canzoni finchè non trova la sua preferita. Sospira soddisfatta e si accomoda meglio sul sedile. Ancora pochi pezzi e arriva la sua fermata "alla fin fine sono in orario" si congratula con se stessa. Il suo amico di sempre la aspetta al Bar davanti all'università per fare colazione insieme e poi recarsi ognuno alla propria lezione. Eccolo lì, al loro tavolo preferito: ha già preso due caffè e due brioches conoscendo alla perfezione i gusti della sua più cara amica. "eccoti", "eccomi..", bacio, "come (bacio) stai?", "bene.. stamattina non riuscivo ad alzarmi.. tu stai bene?", "no..", "???", "già...". Una conversazione come tante, una chiacchiera segreta fra due amici uniti da sempre, qualche confidenza leggera e qualcuna più spinta, una risata e un rimprovero, un consiglio e qualche sigaretta. Tutto nella norma. E poi la mazzata. Lui sorride, lei sorride. Si crea una scia fra i loro occhi, le espressioni del viso cambiano, assumono una forma nuova e diversa, qualcosa che dice ad entrambi di avvicinarsi l'un l'altro come per vedersi meglio, guardare di più.. E lì accade. La scia si interrompe dopo pochi lunghissimi secondi, lei guarda l'ora e dice "oddio devo scappare, ci sentiamo più tardi?", "si ok", bacio bacio, e via.

Pochi secondi di etere e la sua vita ha cambiato completamente direzione. Da nord a sud, da destra a sinistra, da sopra a sotto.. tutto ribaltato. Lei lo ama e da tanto e questo sarà difficile da analizzare. Non lo richiamò nel pomeriggio, non rispose alle sue chiamate nè ai suoi sms. Rimase sola con il peso di quell'avvenimento: lei e la sua voglia di realizzare che sì, sì, da sempre ne era stata innamorata. Lei e le sue farfalle nello stomaco. Lei e i suoi sorrisi endogeni, che molto probabilmente arrivavano dalla pancia, dalle farfalle, senza preavviso ad intervalli regolari. Come contrazioni prima di un parto. Lei e quella tachicardia. Lei e quella stanza dove insieme sono cresciuti e si sono confidati ogni minimo atomo di sè stessi. Lei e i suoi ricordi, lei e il suo futuro incerto. Era successo: si era innamorata e proprio di lui. Sconvolta continua a lungo a cercare un perchè, ingenua non capisce che non lo troverà nemmeno dopo 1000 lune, nemmeno di fronte al Signore, nemmeno di fronte alla sfera di cristallo. Ma spaventata come sempre, rimase ore ed ore a fissare il muro e chiedersi se quel rischio era davvero necessario, se quell'amore fosse da liberare e poi attendere il male di ritorno. Spaventata, chiuse le tende, spense il telefono e decise che era molto più saggio dormirci su.




"Ti guardo che dormi e mi basta.." (TARM)

mercoledì 29 ottobre 2008


Stavamo nascosti sotto quel lenzuolo bianco, come bambini a giocare, come morti in eterno riposo. E avevamo fatto l'amore sotto quel lenzuolo, molte volte in una sola lunghissima notte. Le luci dei lampioni per strada, filtravano fra le tende rosse lasciando intravedere pezzi di pelle sudata, in un sonno agitato, stavamo entrambi con un occhio sempre aperto come per non perdersi neanche un minuto, neanche un secondo di quell'evento. Non ci accadeva da anni. Ci guardavamo si, ma senza vederci, come avessimo mangiato vetro: da una parte all'altra, eravamo solo corpi messi lì, a convivere insieme nello stesso nido, ma senza condividerlo. Ci incrociavamo il meno possibile, perchè le nostre presenze erano come cariche opposte, si respingevano se troppo vicine. Era irritante il contatto, il dialogo, la sintonia. Eravamo animali dipendenti, in cattività forzata. Forzata da chissà cosa poi.

Un giorno mi scrisse "se ci amiamo, se ancora abbiamo una speranza insieme dimostramelo venendo all'ora x, nel posto x". Era un tentativo di incuriosirmi, di riaccendere questa farsa che stavamo portando avanti da anni ormai.. Un anello al dito ci impediva di distruggerci del tutto e questo mi creava una frustrazione immensa. Avevo due giorni, 48 merdosissime ore per decidere se presentarmi o no. Lui cercava la complicità con me e mi chiedevo come avesse fatto a superare la mia carica repulsiva. Non vedevo in questo gesto coraggio, amore, rispetto, sincerità o affetto.. Mi chiedevo solo come avesse fatto biologicamente ad abbassare la guardia.

Per quelle 48 ore di convivenza, quelle ultime 48 ore, abbiamo continuato ad ignorarci. Io dalla mia parte e lui dalla sua, poche domande essenziali e risposte telegrafiche. "mangi?" - "si" e questo non significava nemmeno "allora mangiamo insieme". era solo una pura e semplice trasmissione di informazioni = mangerò prima o poi, si, è mia intenzione. Continuavo a non poterlo avvicinare eppure lui è stato molto bravo a non fare pressione. Alla 42esima ora ero ormai convinta a non presentarmi, a fare le valigie e lasciare per sempre quella prigione. Ma accadde un qualcosa di strano, durante quella 42esima ora. Piansi. Piansi tutto il male di quegli anni, piansi i silenzi, piansi le urla e i litigi a notte fonda, piansi le risposte seccate, piansi le assenze, piansi le mille strategie per evitarlo, piansi la sua rabbia e la mia, la nostra rabbia. E poi piansi i baci, le canzoni d'amore, le risate, le vacanze, le camminate sotto la pioggia perchè la macchina non partiva, piansi le foto insieme, piansi le sue braccia durante il mio dolore, piansi il suo dolore, piansi le battaglie insieme e la nostra giovinezza, piansi anche quel bambino, piansi il nostro amato cane, piansi il suo sorriso e i suoi occhi versi, piansi il mio cuore invecchiato e impietrito, piansi il suo che si stava riaprendo al mio. Gonfia e orribile, non ho pensato a nient'altro che a cambiare le lenzuola, metterle bianche e candide e profumate come a dirgli "questo amore puro non lo voglio far morire", infilato il cappotto e corsa fuori perchè mancavano pochi minuti e lui non mi avrebbe aspettato a lungo.
L'amore fu tanto e i baci ancor di più e da quel lenzuolo bianco noi abbiamo stretto un patto più forte del destino: di comune accordo ci siamo detti "in questa cosa ci siamo in due", ci sentivamo giovani e bellissimi e innamorati e quel freddo Gennaio diventò per noi la prima vera primavera.




"la nostra passione non muore ma cambia colore"

giovedì 16 ottobre 2008


Io sono una persona nervosa. E se mi dicono "uuh ma come sei nervosa!" io mi innervosisco. Parecchio. Però non ci posso fare niente, sono così di natura, mi sveglio sempre col piede sbagliato e prima di poter comunicare e interagire al mattino mi ci vuole almeno mezz'oretta. Poi ci sono rari casi in cui ingrano un po' prima, ma quello si sa, è per apparire migliori di come si è. I difetti vengono tutti dopo, mai all'inizio: incontriamo una persona. Carina. Ci incuriosisce. Già a questo punto, noi siamo come deviati, l'occhio comincia a vedere quel che vuole. Quando poi l'interesse è ricambiato tutto si complica: si sommano le due cecità e ne viene fuori un bel casino. Tutto bello, rosa e fiori, "abbiamo gli stessi interessi!", "si anche io tifo Juve!", "bellissimo il film dei Simpson, guardiamolo insieme una volta!". E torni a casa stordito. E senza che tu te ne accorga, dopo pochi mesi, ti ritrovi imbarcato in una situazione troppo stretta e ti chiedi "ho mai fatto uso di droghe negli ultimi mesi?". Sempre così: dopo un po' la tipa diventa gelosa, il tipo non ti accompagna a vedere i film di Moccia, la tipa vuole presentarti i suoi, il tipo non vuole presentarti i suoi amici... E allora mi chiedo: ma non si poteva fare che quando due persone si conoscono, invece di raccontare quello che conviene, si mettono lì con calma seduti e rilassati a stilare una bella lista dei propri difetti? Così uno sa cosa può accettare e cosa no e quindi calcolare meglio il rapporto investimento/guadagno (dio quanto cinismo ci sto mettendo...).

esempio:

"ciao!"
"ciao scusa il ritardo!" (non sapevo cosa mettermi: gonna troppo troia,pantaloni troppo suora)
"no figuuurati.. " (aspetto da mezz'ora. ma come si è vestita?)
"allora.. beviamo un caffè?" (tanto sono già schizzata!)
"si certo.. hai portato la lista?" (non sto qui a perder tempo)
"si e tu?" (non vuole perder tempo)
"sìsì!" (prevenuta)
E via con le liste.
Io metterei:
- prepotente
- possessiva
- nervosa
- sono praticamente l'incarnazione di Paperino: goffa, maldestra, casinista
- parlo con gli animali con un tono di voce che sfiora i 100mila decibel
- juventina
- ho la cellulite
- fumo e bevo come un uomo
- mi piace andare a ballare
- ho molti amici maschi
- mio papà potrebbe segarti le gambe
- mi mangio le unghie
- dico milioni di parolacce
- non so portare i tacchi
- mi imbarazza fare regali e quasi sempre svelo cosa c'è nel pacchetto
- sono sempre in ritardo
- spesso ascolto la musica techno, ma sono una rocker dentro.

Ne avrei tanti altri ma adesso devo andare a cenare.

L'unica cosa che mi turba di questo meccanismo è: saremmo in grado di mentire anche su una lista di difetti? Ma soprattutto:
saremmo così sventati da accettare comunque una lista di difetti ignobile, solo per il gusto di lanciarci verso qualcuno di nuovo?
Io credo proprio di sì.

Siamo imbecilli in amore e questo si è capito.